Silvia e i quattro cantoni romani

Si fa presto a dire II municipio…Ben diverso è conoscere e abitare tutte le sue molteplici facce: dal fichettume volgare di piazza Euclide a quello – concedetemelo – più elitario di piazzale delle Muse, dai palazzi veraci del quartiere africano a quelli eleganti di corso Trieste, fino a certi scorci un po’ sopravvalutati del Coppedè. Giulia e io – volenti e nolenti – l’abbiamo battuto palmo a palmo.

In principio fu un’elegante villetta in via di Villa Emiliani, scelta con l’aiuto di Donatella anche perché – quando si dice il destino! – sorgeva all’ombra della caserma generale dei carabinieri (fondamentale per la nostra incolumità). Poco importa che il padrone di casa fosse un tipo losco stile Padrino e solo una sottile porta di legno ci separasse dalla sua abitazione. La porta fu sbarrata con un mitico armadio azzurro vintage (dieci anni prima che un’intera generazione si svenasse per arredare vintage il proprio salotto) e il losco furbone fu riabilitato perché vantava (indovinate con chi) una suocera primo sindaco donna in Italia. Era il dicembre 2003.

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Poi fu la volta della casa di nonna Mina e nonno Guido, futuro focolare degli sposi. Altro giro altra musica. Addio al silenzio delle Muse e largo spazio alla vita vera del quartiere Trieste, tra gli schiamazzi del Giulio Cesare e le urla del mercato di via Chiana. Era il periodo delle scorpacciate quotidiane di carote della Luciana, vietate dal medico quando una di noi (indovinate chi) assunse un colorino giallastro; il periodo dei peccati di gola consumati nottetempo da Romoli e della vita condivisa al novanta per cento. Un periodo bellissimo di cui sarò sempre grata a chi mi ha ospitata facendomi sentire a casa mia.

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Ed eccoci, un paio d’anni più tardi, all’inizio di viale Eritrea. Tanti gli spasimanti delusi (indovinate di chi) lasciati meno di un chilometro indietro (edicolanti, pizzettari, calzolai, “amici della parrocchia”, etc…). Altrettanti quelli nuovi. Dalle stelle alle stalle, ma con tanta allegria: il gentile pensiero della padrona di casa per noi fanciulle – mura tinteggiate di rosa – ci offrì lo spunto per il pink party d’inaugurazione (100 persone vestite color confetto in 40 metri quadrati).

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E poi avevamo di nuovo la tv: una di noi (indovinate chi) sceglieva sempre il film (rigorosamente mattonate) e la stessa crollava addormentata sul divano al secondo fotogramma. D’altronde alle cinque del mattino era già alla sua scrivania. Va detto però che se rientravi tardi dopo una serata un po’ storta, sapevi di poterla svegliare…e subito t’avrebbe fatto sentire meglio. E infine il breve passaggio a via Fauro, nella casa di nonna Ada, tra l’uscita del quarto libro e i preparativi del primo matrimonio… Nel bel mezzo, una crociera che ancora ci rinfacciano (invidiosi), uno strepitoso addio al nubilato e qualche lacrima per chiudere come si deve un capitolo speciale di questa storia sempre bella!

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Ps: si ringraziano di cuore i tanti che si son fatti letteralmente carico di questo nostro esagerato peregrinare, riempiendo, trasportando e sistemando scatoloni. I tanti che ancora – elegantemente – ogni tanto ce lo ricordano.

Pps: E menomale che all’epoca San Lorenzo non faceva ancora parte del II municipio.

1 commento per “Silvia e i quattro cantoni romani

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