Riservata, essenziale e di carattere: non poteva che essere così la Chiesa che Giulia e Gianluca hanno scelto per il loro matrimonio. Ho ancora la voce di Giulia nelle orecchie quando, uscendo da Porta Sant’Agata mi grida: “È lei!”.
Sì, è proprio lei! In realtà i nostri sposi credono di averla scelta loro la chiesa ma a me piace pensare che sia successo il contrario: è stata la chiesa a scegliere loro! Li ha accolti il 6 luglio a suon di pane e porchetta e li ha conquistati con poche e potentissime armi di seduzione: il fascino senza tempo della pietra, l’essenzialità degli arredi e l’originalissimo impianto a due navate.
Ficcando il naso nel passato della chiesa di Santa Lucia, penso a quante cose e quanti nomi leghino la sua storia al percorso umano e culturale di Giulia! Gianluca mi perdonerà, e so che mi perdonerà perchè è un uomo di un’intelligenza rara, ma in questa sede non posso non giocare un po’ con la sua promessa sposa perchè tutto in questa chiesa e nel suo circondario parla di donne: dal tragitto per arrivarci, alla sua posizione, alla sua dedicazione e alla sua storia!
Sappiamo tutti quanto Giulia ami la Sicilia (i dolci, soprattutto), prima coincidenza: siamo in Ciociaria eppure per arrivare nella chiesa che è dedicata a una vergine e martire siracusana (Lucia morì appunto a Siracusa durante le persecuzioni di Diocleziano) bisogna passare attraverso un’antica e bellissima porta che porta il nome di sant’Agata (vergine e martire siciliana anche lei, catanese però!) e che reca in alto un’iscrizione dedicata a Giulia (coincidenza?) Domna e a suo figlio Caracalla.
Sia Agata sia Lucia dovevano avere due caratterini non da poco se entrambe pur di non rinnegare il proprio Dio preferirono farsi uccidere. Di Lucia si racconta addirittura che, costretta con la forza a essere esposta tra le prostitute, divenne miracolosamente così pesante ma così pesante che decine di uomini non riuscirono a spostarla: vi ricorda per caso l’ostinazione di qualcuno? Sante, perdonateci l’irriverenza: sant’Agata, perdonaci soprattutto tu, se leghiamo al ricordo del tuo terribile martirio (il seno amputato) il dolce preferito di Giulia, la cassata! Le cassatelle di sant’Agata, che Giulia adora, sono infatti chiamate in dialetto minnuzzi ri sant’Àjita per via del loro aspetto che richiama la forma del seno femminile! Pregate per noi!
Oriunda di Ferentino è invece Flavia Domitilla, moglie di Vespasiano e madre di Tito e Domiziano, in onore della quale (poveretta!) fu costruito un enorme e lussuosissimo impianto termale le cui sale pavimentate a mosaico furono riutilizzate agli albori del cristianesimo per la realizzazione di uno spazio per la preghiera del fedeli ferentinati: fu così che nacque quel primitivo luogo di culto che oggi è la cripta di San Biagio, la parte sotterranea e nascosta della nostra chiesa…uno dei tanti casi di nemesi storica, quando un luogo di culto dello spirito viene edificato al posto di un luogo di culto del corpo. Da quell’iniziale luogo di preghiera nasce la storia architettonica e cultuale della chiesa romanica di Santa Lucia i cui elementi architettonici esterni (forse quelli meglio conservati) e interni la fanno classificare cronologicamente al secondo posto (al primo c’è la cattedrale e vorrei ben vedere!) tra le chiese cittadine: c’è addirittura di chi parla del VI secolo ma l’impianto attuale risale sicuramente al X. La titolare originaria della chiesa non fu da subito la martire siracusana, ma una sua omonima ferentinate che, secondo le notizie fornite da una vecchia edizione del martirologio romano, morì insieme a 22 compagni il 6 luglio del 251 durante le persecuzioni dell’imperatore Decio. Non si sa né come né quando e né perchè (almeno io non lo so!) cambiò la dedicazione della chiesa, ma deve essere comunque rimasto nei secoli il ricordo di quel martirio di ferentinati se guarda caso proprio il 6 luglio di quest’anno, entrando in chiesa, Giulia e Gianluca sono stati accolti da un banchetto: a questo punto penso proprio che i due ne abbiano di parecchi di santi protettori! Ma ritorniamo alla chiesa…
Essenziale e di carattere, dicevamo all’inizio e lo ripetiamo adesso, perchè essenziale e di carattere è la pietra, materiale dominante della nostra struttura. La pietra fa da padrona tanto all’esterno della chiesa, dove spicca una piccola e deliziosa abside coperta da un tettuccio a coppi e ornata di archetti ciechi, quanto al suo interno dove la linearità del primitivo impianto ad aula monoabsidale fu successivamente aperto all’accoglienza di una seconda navata.
Il rigore interno della pietra è interrotto solo dalla vivacità dei colori dell’affresco che occupa l’intero spazio dell’abside: si tratta della raffigurazione della santa titolare della chiesa nella classica iconografia a cui la tradizione ci ha abituati ovvero nel momento in cui offre in una coppa i suoi occhi! Tutti siamo abituati a pensare (e in realtà da bambini ci faceva anche un po’ orrore!) a Lucia mentre le cavano gli occhi o mentre se li strappa lei stessa pur di non sposarsi e di professarsi coraggiosamente cristiana… ma in realtà, udite-udite, l’episodio degli occhi è completamente inventato! Lucia, è vero, subì violenze terribili (cosparsa d’urina, avvolta dalle fiamme e pare anche sgozzata…), così raccontano le fonti, dopo che il promesso sposo pagano-rifutato l’accusò pubblicamente di essere cristiana (allora per la fede si moriva davvero… un po’ come oggi in Iraq e in tante altre parti del mondo… purtroppo…) ma gli occhi proprio no, quelli, nonostante l’iconografia tradizionale dica il contrario, li conservò fino alla fine! In realtà li conserva ancora oggi… e ce li regala insieme al suo nome che in latino vuol dire “Luce”.
Sia la Luce vera a guidare, proteggere e sostenere Giulia e Gianluca: evviva gli sposi!
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