Genova è un tratto di mare, che si riflette su montagne aspre. Chiese bellissime e case antiche che si superano l’un l’altra per avere il privilegio necessario di guardare navi entranti nella rada. Genova è un muro alle tue spalle, cielo sopra di te, e tetti a te davanti. Tetti fatti di ardesia. Ardesia nera e grigia, e il rosso dei gerani. Poi il porto. Poi mare azzurro e lucente. Genova non è nata per essere un luogo perché è sempre stata un approdo. Un posto in cui tornare. Un molo da cui partire. E tra partenze e ritorni, l’immensa libertà del mondo. Una piazza, un fondaco, una chiesa. Per le merci conquistate, per ciò che abbiamo amato, per frammenti di sere passate in cui abbiamo sognato come sarebbe stato l’oggi. Poi l’oggi è stato diverso da quei sogni. In po’ meglio… un po’ peggio… ma questa è la “scoperta”. E poi… questa… in fondo, è tutta un’altra storia…
Genova è bellezza nascosta, riservata unicamente a chi la va a cercare. È uno spazio dedicato ad amori abbandonati nella futile ricerca di un sogno, e per scampoli di anima che si ostina cocciutamente a rimanerci attaccata. I gusti sono aspri di erbe di montagna. Il pesto ha molto aglio, olio aspro mischiato con forte pecorino. E la città è superba. Di eleganza simile a un cocktail con l’oliva, vestiti di buon taglio, pantaloni con piega ed eleganza sfatta, Galleria Mazzini, coi colleghi la sera, barman anziani sbarcati da una nave, focaccia, farinata e frittelle delle cinque, segnate da erba cipollina e cristalli di sale. Le luci si riflettono sulle acque del porto e la pietra bagnata dei vicoli. L’austerità delle piazze medievali. In via del Campo amici si stupiscono di prostitute all’uscio in attesa di marinai stanchi, provenienti da ogni professione. Le aveva cantate un poeta che parlava di vita. Qualcuno pensava fosse solo una strofa costruita allo scopo di incantare gli allocchi. Non era così. A Genova i poeti erano veri come lo furono gli eroi di migliaia di rivoluzioni. Furono tanti: proprio tanti. La storia si ricorda solamente di coloro che hanno vinto. Gli altri stan nei cuori solamente, di pescatori anziani e donne sole che, tra battute caustiche e grappini, si giocano a “cirulla” la loro nostalgia. Si tratta di un rituale inossidabile, carte che calano la sera su di un tavolo di formica rotonda, arroccato in qualunque porticciolo. Genova è città industriale, rombo di tir, vigili del fuoco, l’acciaio arrugginito dei container, scartoffie sfoderate dalla guardia di finanza, scaricatori e operai, carbone nero fumo polveroso, spacciatori di droghe marocchine, contrabbandieri in locali malfamati. Merci vanno ovunque, a da ovunque possono arrivare.
Genova è il mercato orientale, mosaici di frutta secca, volute colorate profumate di spezie indiane e tropicali. Genova è freddo, cieli grigi, pioggia salata. Corse invernali a Nervi su di una passeggiata fatta di mattoni rossi davanti a un mare nero che urla la sua rabbia: un tratto più basso superato dalle onde. Aspettare la risacca poi scattare col cuore che ti scoppia. Gustare acqua di mare e tanta adrenalina. Genova è una strada chiusa dove, per fortuna o residua carità, un circolo ostinato rimane ancora aperto. Taverna di pirati, sedicenti viaggiatori che stordiscono sé stessi e chi ascolta per sognare. Seguono bevande alcoliche, insaporite da tabacco e basilico, che nessuno ha mai avuto il coraggio di provare. Genova è stata casa, per metà della mia vita. Poi ho visto il mare. Ho fatto il mio fagotto. E il vento sul viso, condito di sole, ha zittito l’eco di qualsiasi nostalgia.
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